La
sua (ri)valorizzazione risale al rinascimento, italiano e non. La drammaturgia regolare
italiana quattrocentesca in primis, recupera in termini moderni i generi
drammaturgici dell’antichità e costituisce uno statuto formale, normativo e
caratterizzante per ciascun di essi, fondato sui canoni estetici e retorici
della classicità greca e latina. Alla base vi è la riscoperta della tragedia
senechiana, (il codice dell’Etruscus portato alla luce da Lovato de’ Lovati,)
che recupera a sua volta i modelli greci (dati inoltre alle stampe da Manuzio
tra il 1502 e il 1518). Quali modelli? Come già accennato, la prospettiva di Eschilo
era differente. La presentazione del dilemma tragico in un unico personaggio
dominante sembra essere invenzione di Sofocle, tanto che si potrebbe definire
“sofoclea” la concezione della tragedia europea che l’ha seguito per millenni e
che riconosce nell’Edipo Re il
proprio modello principale.
Sofocle abbandona la forma della trilogia per ridurre il dilemma tragico
nei termini di una personalità individuale nel momento di crisi suprema della
propria vita. Conseguenza non inevitabile: tant'è che nell’Ippolito,
l’intricato sviluppo dei rapporti dei quattro personaggi conferisce stessa
importanza ad ognuno di loro.
Attraverso la forma della trilogia, in Eschilo emerge la causalità
delle azioni umane e la loro connessione col volere degli déi. Il corso della
storia fornisce una prospettiva delle sofferenze, mentre i personaggi sono
coinvolti in un’azione troppo grande per la loro comprensione e si affidano agli déi. La tragedia sofoclea invece
esclude il futuro, al massimo vi allude. In essa non abbiamo mai l’idea della
collocazione dell’agire umano lungo il corso delle generazioni passate e future,
né del suo rapporto col disegno divino. L’eroe sofocleo agisce in un vuoto
terribile, in un isolamento nel tempo e nello spazio. La responsabilità delle
proprie azioni ricade sull’eroe stesso: da qui la grandezza degli eroi sofoclei,
ma anche l’ironia tragica, tecnica
che presuppone l’assoluta inconsapevolezza del proprio destino da parte di un
personaggio.
In
questo senso l’eroe tragico diventa colui che, contro gli oppositori e senza
aiuto divino, aderisce alla sua natura individuale, alla sua physis, ciecamente, ferocemente, anche
fino alla propria distruzione. Sospeso tra i due poli di speranza eschilea e
disperazione euripidea, l’universo tragico di Sofocle vede l’uomo capace di
agire autonomamente (il coro
definisce Antigone αύτόνομος, v.821 ) e di perseguire una gloria indissolubilmente fusa con il
dolore e con la propria caduta. Il suo
fallimento coincide con il suo successo, la sua vittoria con la sua sconfitta.
Nella libertà d’azione con cui un individuo affronta un destino infausto
ritroviamo il carattere moderno dell’eroe sofocleo. Esso si trova a scegliere
tra una rovina sicura e un compromesso con cui tradirebbe le proprie
convinzioni, ma resiste saldamente alla massiccia pressione della società,
degli amici e nemici, rifiuta di cedere e rimane fedele alla sua natura.
Bisogna precisare che la concezione greca vedeva l'eroe un hybristés caratterizzato da una profonda
ambivalenza pre-morale. Questa
concezione eroica ha a sua volta dei fondamenti nel culto religioso degli eroi,
che celebrava quegli uomini che, con la tremenda forza della loro personalità,
sembravano aver superato in vita le proporzioni della comune umanità. Le
cerimonie del culto miravano a placare la loro collera. Nilsson: “Il culto
dell’eroe è apotropaico più d’ogni altro; è diretto a placare i morti potenti,
che sono assai proclivi all’ira. […] Un eroe viene riconosciuto non in virtù
dei servigi resi ma perché da lui promana un potere particolare, che non è
necessariamente benefico”. Il titolo
dell’eroe non a “alcun rapporto con le idee morali né con quelle di una superiore
religiosità, bensì è espressione del nudo potere, della nuda forza”. L’eroe,
perlopiù, non è venerato come modello di condotta, ma offriva agli antichi la
certezza che in alcuni individui eletti l’uomo è capace di grandezza sovrumana
e sfidare i propri limiti, pur senza uscirne indenne.
Tiziano Portas
Fonti:
Bernard M. Knox, The heroic temper: studies in Sophoclean tragedy, (University of California Press, 1964),
Paolo Bosisio, Teatro dell’occidente, LED Edizioni Universitarie
sopra: Albert Greiner, Louis Bouwmeester (nel ruolo di Edipo)
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