Uno dei primi problemi in cui ci si può imbattere affrontando il teatro
primitivo è il grado in cui esso possa o meno essere considerato come una
testimonianza delle origini di quello occidentale. Da un lato il tentativo di studiare
forme di espressione incontaminate ha portato spesso l’indagine a
confrontarsi con culture tecnologicamente meno sviluppate di quella europea.
Dall'altro ogni cultura, in ogni grado del suo sviluppo, ha pur sempre delle
visioni del mondo e delle concezioni teatrali altamente peculiari. Considerarle
come un primo gradino dell’evoluzione del teatro occidentale, significherebbe
negare il loro patrimonio umano e culturale. Ci sono però dei caratteri
unificanti che accomunano tutte le forme primitive di teatro e che ci aiutano a
chiarificare alcuni degli aspetti fondamentali dello stesso linguaggio
teatrale.
I tratti fondamentali delle espressioni teatrali più rudimentali sono evidenti in un gioco degli Yamana. Ecco più o meno cosa succederebbe.
Accampamento: sentite cantare “Cena-lora! Cena-lora!”, in toni diversi. Subito un gruppo di indiani si accovaccia per terra formando una colonna e tenedosi per le spalle, dondolando uniformemente e ripetendo “Cenalora”. È chiamato anche ananlùra, “canoa che beccheggia sulle onde”, e consiste in un gioco pantomimico in cui si vuole imitare il movimento di una canoa sulle onde.
Innanzitutto il teatro primitivo è un’arte principalmente mimetica a cui
il corpo dà forma. Il teatro primitivo è perciò un’arte racchiusa nel corpo e che fa affidamento sulle sue
possibilità espressive. Ne consegue la
scarsità di mezzi ausiliari (come maschere, costumi, decorazioni e strumenti
musicali) ed una sostanziale essenzialità stilistica. Gli spettatori solitamente non sono passivi, ma partecipano al gioco, in quanto momento di riconoscimento dell’intera comunità.
Per decifrare il significato spesso oscuro dell’esecuzione è necessario
conoscere anche le circostanze in cui vive il popolo stesso. Per esempio gli Yamana
spendono molto tempo nelle canoe cercando cibo. La canoa diventa il simbolo
degli sforzi che essi affrontano quotidianamente per
sopravvivere e che celebrano nel gioco mimetico/ritualistico. Il teatro primitivo riflette
solitamente la vita di ogni giorno: i miti, la conoscenza, la religione, le
passioni, i sentimenti, le paure e le speranze di un popolo. È la sua cronaca
vivente. Esso raccoglie attraverso un gioco divertito tutte le esperienze umane
di una comunità.
Così accade anche presso i pigmei (lett. alti un pugno). Essi vivono nella steppa o nella foresta primeva tropicale africana. Sono
principalmente cacciatori (gli uomini) e raccoglitori (le donne). Condividono
racconti e miti attorno al falò. In
quanto nomadi, non hanno né un calendario stagionale né feste: il soggetto dei
giochi sono le attività quotidiane.
Insieme alla danza, il teatro è l’unica arte praticata dai pigmei della
foresta dell’Ituri (o bambuti). Nei giochi drammatici sono assenti scenografie,
attrezzi, maschere (se non la smorfia grottesca identificabile come
mascheramento) o costumi. Il loro teatro è di mimesi naturalistica e la straordinaria
precisione con cui gli attori mimano le movenze animali rivela un’acuta
osservazione del comportamento animale (ovviamente). Il loro teatro è lieto e sereno, non turbato da alcuno scontento o
sentimento violento, generalmente percorso da uno spirito gioioso.
Un gioco tipico è quello della caccia
del bufalo. Durante le sere, spesso al chiaro di luna, un ragazzo prende
due bastoni lunghi un braccio e se li tiene sulle tempie (le corna).
Un gruppo di ragazzi, evitando i suoi attacchi, lo “trafigge” con l’indice,
pronunciando un suono schioccante. Il gioco consiste nell'estenuante lotta col
bufalo, che deve dimostrare una grande resistenza fisica, dal momento che il
gioco dura un paio d’ore.
Anche per i pigmei del Gabon l’imitazione animale è fondamentale, perfezionata da secoli di esercizio. Presso loro il teatro si presenta come combinazione di più elementi: l’interpretazione delle parti è incalzata nel ritmo battendo le mani o con tamburi e movimenti ritmati; il canto instaura un rapporto dialogico col coro, composto dagli stessi spettatori. In generale il teatro dei pigmei del Gabon si rivela di natura meno spensierata di quello dei bambuti. Il gioco della vendetta attesta un gusto per lo spettacolo raccapricciante che non manca di tragicità: il sentimento di ingiusta sciagura trova nel sangue un’espiazione: dopo essersi vendicati sull'assassino, un animale proveniente dal villaggio dell’assassino viene appeso ad un albero e martoriato.
Un altro gioco tipico è la caccia
all’elefante. Dopo un canto introduttivo, un gruppo di uomini si addentra
nel bosco alla ricerca dell’elefante, che fa la sua apparizione mentre mangia
tranquillamente – la proboscide è rappresentata da un braccio. Un cacciatore gli
apre la pancia, lo fa a pezzi e lo priva delle sue zanne. Intorno al corpo si
tiene una danza di gioia accompagnata da un canto di trionfo.
Già con questi pochi elementi è evidente come fin dalle origini siano
presenti tra diverse culture, pur appartenenti allo stesso ceppo etnologico,
concezioni teatrali tanto differenti da lasciar immaginare uno sviluppo artistico
radicalmente diverso, ma anche delle comuni costanti strutturali.
Molto più complesse sono le forme di teatro primitivo in Australia, dove tra le tante tribù
incontriamo quelle dei Kurnai e degli Aranda del Nord. I popoli australiani
sono generalmente pescatori, raccoglitori o cacciatori. Fanno una vita
sedentaria e non conoscono molte scoperte del neolitico come l’agricoltura,
l’allevamento e la tessitura. Vivono per lo più in nudità, nelle feste si
dipingono di bianco, rosso e nero. Purtroppo sono stati quasi totalmente
sterminati dagli occidentali.
I Kurnai (o Gunai) sono un popolo del sud-est, suddiviso in cinque clan e oggi estinto a causa di un colonialismo scellerato. La figura di maggior spicco, oltre ai capi e agli anziani, è il birrark: poeta, cantore e direttore dei giochi, dalle molteplici funzioni e consacrato tale dagli spiriti. Purtroppo l’ultimo birrark è morto prima che A.W.Howitt lo documentasse, perciò sappiamo poco. Le danze erano accompagnate da musiche basilari eseguite da pelli usate come tamburi, battiti di mani e di piedi.
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(1) Donna Kurnai |
La manifestazione teatrale/ritualistica più interessante era senz'altro
quella dell’iniziazione dei giovani, che durava settimane intere, ma che Howitt
ha richiesto fosse concentrata in 5 giorni. Riporto in sintesi una parte del
lungo rituale.
I ragazzi vengono condotti nella capanna dai vecchi, che li coprono con foglie
e pelli, mentre sono seduti a gambe e braccia incrociate. Se vogliono attirare
l’attenzione pigolano. Intorno gli altri del villaggio camminano e fanno
rumore: gli iniziati non vedono, ma odono. Poi lo stregone (mulla-mullung) massaggia
il loro ventre mormorando qualcosa, lasciando coperto solo la loro testa. – non
vedono ma sentono col tatto. I ragazzi vengono inviati in un campo costruito a
parte. La loro virilità è stata consacrata.
I rituali vedono la precisa disposizione di parti uditive e parti
visive. In questo caso gli adulti vedono quello che ai non-adulti non è dato
vedere, ma solo sentire. Nei giochi di caccia la parte musicale è assegnata
alle femmine. Il concetto di teatro uditivo, è presente anche in altre culture
primitive, come i pigmei, che attraverso una maschera acustica producono la voce
del dio Tore, immaginato come un leopardo, e riflettono la concezione per cui
il dio è invisibile, ma udibile. Da qui
un’altra distinzione: teatro autonomo,
costituito dai giochi di animali, e teatro applicato,
con i giochi culturali, dove le cerimonie più importanti come l’iniziazione
assumono la forma di gioco con parti interpretate. Le ultime sono
rappresentazioni per lo più uditive.
Il teatro degli Aranda si pone come anomalia nel panorama primitivo. Affianco a forme ritualistiche che si suppongono capaci di facilitare la pioggia, esso presenta il mito dei primi padri, che si manifestano come esseri totemici, da cui la natura stessa dei giochi. Essi mirano alla trasmissione di usanze e di una visione del mondo. Si tratta di un teatro oscuro e difficile da decifrare. Concepiscono un palco (scavato nella terra), costumi, maschere e ornamenti. Oltretutto è un teatro più astratto che mimetico. L’azione si prefigura di raggiungere una realtà ancestrale e onirica, una mitica ricongiunzione con gli antichi padri originari. Il loro teatro astratto, che sembra bandire ogni naturalismo, nonostante la ricchezza di accessori, immagini, colori e costumi, ha portato all'impoverimento di tutto ciò che è vivo. Esula dal piangere e dal ridere, (tranne quando delle entità maligne, nel gioco del Latjarinka, “scoppiarono ad un tratto in una risata continua e belante”). Gli spettatori aranda subiscono tuttavia un notevole impatto emotivo e si commuovono.
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(1) Cerimonia della cavatura dei denti, come iniziazione opzionale e aggiuntiva al Totem della Pioggia, della tribù degli Aranda. L'incisivo superiore-destro viene tolto con una pietra. |
Riportiamo il gioco del tjilpa: il primo attore, vestito da aquila, scende nel fossato, s’inginocchia e comincia a tremare, esprimendo così il desiderio per l’altro sesso. Entra un secondo attore, che ha una borsa sotto il braccio ed emette continuamente dei suoni: “a-a-a”. Entrano altri attori, dipinti a strisce rosse, con un lancia-giavellotti e cominciano a tremare con le gambe, in fila. Entrati gli animali, comincia il gioco, per cui i giovani corrono intorno ai cacciatori e a gli animali. Durante la rappresentazione gli anziani che accompagnano il gioco con dei canti e si aprono una vena del braccio. Col sangue colato su uno scudo spruzzano altri uomini. Gli anziani offrono il loro sangue all’antenato primordiale totemico tjilpa, che ha il potere di far scaturire gattopardi dalla terra ed è rappresentato dai primi due attori.
Nonostante i giochi di caccia siano comuni tra le culture primitive, è
qua evidente il carattere prettamente spirituale dell'azioni.
Tiziano Portas
fonti:
Eberle, O., "Cenalora: Vita, religione, danza, teatro dei popoli primitivi.", Il saggiatore 1966
(1) http://commons.wikimedia.org
(2) http://www.webpages.uidaho.edu/~rfrey/220aborigines.htm
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