domenica 18 maggio 2014

Yeats e il Teatro No

  Il primo dei due articoli riguardo il teatro irlandese riguarda l'influenza che il teatro No ha avuto sull'opera drammaturgica di William Butler Yeats ( 1865 – 1936 ). Ugualmente a G. Craig ed altri esponenti delle avanguardie, anche il poeta irlandese concentra i suoi sforzi contro la cultura borghese, ma lavorando attorno alla possibilità di rinnovare la drammaturgia uscendo dai suoi paradigmi. La sintomatica ricerca tardo-ottocentesca di un'alterità rispetto alla cultura occidentale in modelli esemplari lontani nello spazio (Messico, Oriente, Africa), e nel tempo (teatro greco o medioevale), si allineava l’interesse di Yeats per gli studi etnografici ed orientalistici, per le mitologie e per le radici culturali irlandesi. Le ragioni che lo portarono, nell'arco finale della sua carriera letteraria, a trovare nel modello del teatro tradizionale giapponese la possibilità formale di rinnovare il teatro occidentale, consistono in un grande bacino di esperienze e letture accumulatisi per l'intero corso della sua vita.
  Tuttavia già nella giovinezza erano chiari alcuni punti fermi del suo gusto poetico. Un precoce e romantico distacco dal razionalismo si concretizzava nell'interesse per la magia dei suoi primi drammi, (Mosada, 1886), per poi svilupparsi nell'interesse per l'esoterismo e la teosofia, alimentato da Sinnett, Blake, Swedenborg, Boehme, Reuchlin, Rosenroth e Madame Helena Blavatsky. Sentendosi per natura attratto verso forme epistemologiche e metafisiche, si rifece presto a una fede di carattere pre-cristiano e pre-monoteistico. Entrò a parte della Hermetic Students of the Golden Dawn di MacGregor Mathers. Nel frattempo John O'Leary tornava dall'esilio nel 1885 e divenne presto, insieme alla sorella, la poetessa Ellen O'Leary, figura di spicco dei circoli nazionalistici di Dublino, a cui partecipavano, oltre a Yeats, anche Maud Gonne, Rose Kavanagh, Rosa Mulholland, George Sigerson, e Katharine Tynan. Giacché O'Leary predicava, con forza morale, lo studio della storia irlandese e l'amore dei cicli leggendari, il giovane poeta si convinse della necessità di non assumere soggetti estranei alla cultura irlandese (tra le prime opere, The wanderings of Oisin, 1889).
  Yeats considera l'ideologia promossa dalle società commerciali ed industriali, colpevoli di essere promotrici di un “teatro da salotto” che spersonalizza e omologa le espressioni teatrali ed artistiche, senza alcun legame con la cultura e lo spirito del luogo, come causa della crisi sia delle forme teatrali che più in generale di tutta la cultura occidentale, portandolo a considerare il suo progetto per un teatro nazionale come un soluzione allo stallo in cui si ritrovava il teatro irlandese. Oltre alle forme drammaturgiche contemporanee, Yeats trova un impedimento anche nella recitazione che ha perso la concezione dell'attore come officiante di un rituale sacro, dove la parola aveva una funzione evocatrice.
  Accadde nel 1913 che il suo segretario Erza Puond, che stava lavorando sulle carte lasciate dal connazionale Ernest Fenollosa, eminente studioso di cultura giapponese, entra a contatto con alcune traduzioni incompiute di drammi No. Chiede aiuto a Yeats per renderne più teatrali i dialoghi. In quel periodo Yeats stava attraversando una fase di lontananza dal teatro, un necessario distacco da Dublino anche per la fallimentare lotta contro il Naturalismo intrapresa nell'Abbey Theater. Aveva tentato di creare una nuova forma di teatro in cui convivessero poesia e immaginazione, il insieme a canto e danza, il lato più aristocratico insieme a quello più rozzo. Non avendo sentito di aver raggiunto il suo obbiettivo, dopo la pubblicazione di Plays for an irish Theater (1911), non volle più essere coinvolto. I drammi No arrivati alle sue mani erano un esempio concreto della rivoluzione desiderata. Yeats, preoccupato della relazione tra eterno e temporale, visse come una rivelazione la scoperta del fatto che la crisi, nel dramma No, avveniva svelando che uno dei personaggi era un fantasma o un essere divino.
  Il dramma No confermava oltretutto alcuni espedienti che era stato costretto ad abbandonare: l'abolizione della scenografia per il libero corso dell'immaginazione, le maschere per definire i personaggi con semplicità, l'impersonalità e il profondo simbolismo, le danze per suggerire il climax. Nel No vide un modello di come si potesse mettere a fuoco un intero dramma su una singola metafora. Comprese tuttavia che il No appartiene ad una cultura compatta, limitata inoltre ad un'élite colta e raffinata, ricca di riferimenti incomprensibili per uno spettatore straniero. La solida preparazione da parte del pubblico è necessaria tanto più per il carattere allusivo e simbolico del teatro no, intento più a rievocare uno stato d'animo che non a raccontare una storia. Se i drammi stessi sarebbero risultati inefficaci messi in scena in quanto tali, non lo sarebbero state le loro forme, adattabili ad altre storie e ad altre mitologie. Ciò non fece che confermare l'uso delle saghe irlandesi già sperimentato nei precedenti drammi irlandesi, attraverso una sostituzione di contenuto.
  Egli realizzò che il fatto che l'impatto con il No derivasse dalla concentrazione univoca del dramma su un'emozione dominante, fosse congeniale alle sue ispirazioni: trovò attraente l'emozione della qualità illusoria della realtà. Egli si sforzo di distanziarsi dagli aspetti più crudi della vita ed aborrì il naturalismo nella scenografia, nei dialoghi e nello stile di recitazione, sperando che la nuova forma, anche se indiretta, simbolica e artistocratica, nonostante basata su una mitologia popolare, possedesse un fascino maggiore, riferendosi agli archetipi dell'inconscio collettivo. Il mito irlandese, la drammaturgia No e la cosmologia del buddismo, avrebbero ricondotto il dramma alle sue originaria funzione di rappresentazione sacra.
  La concretizzazione di questo disegno avviene nei Quattro drammi per danzatori, 1915-1919. (At the Hawk's Well, The Only Jealousy of Emer, The Dreaming of the Bones e Calvary) Le parole sul vetro della finestra (The words upon the window-pane, 1930) e Purgatorio (Purgatory, 1938). L'enorme influenza del No si ritrova infine in The Death of Cuchlain, pubblicato nel 1939 e messo in scena nel 1945 all'Abbey theater. La mancanza di un narratore capace di mettere in scena i testi fu colmata da Pound con la scoperta di Micho Ito. Nel 1916, con maschere, musica e costumi di Edmun Dulac, Micho Ito interpreta, nel ruolo femminile (onnagata) di una donna sparviero, il primo dramma europeo ispirato effettivamente al No: At the Hawk's Well. Il primo dei Plays for dancers comincia con i musicisti che cantano i famosi versi d'apertura

I call to the eye of the mind
A well long chocked up and dry
And boughs long stripped by the wind
And I call to the mind’s eye
Pallor of an ivory face
Its lofty dissolute air,
A man climbing up to a place
The Salt sea wind has swept bare

  La trama narra di un giovane guerriero (Cuchulain) alla ricerca della fonte dell'immortalità, nella quale le acque miracolose scorrono occasionalmente solo per brevi istanti. L'eroe la trova, dopo un lungo viaggio per mare, presso il pozzo del falco, uno spazio sacro dove un vecchio attende da tempo immemorabile l'acqua sgorgare ed una guardiana silenziosa e immobile veglia sul pozzo. Lo scorrere dell'acqua corrisponde alla danza della guardiana, che cade in trance, posseduta dalla divinità che presiede al pozzo, ma il vecchio, come ogni volta, si addormenta nel momento cruciale. Il giovane invece è ipnotizzato dalla visione della danza e viene distratto dall'acqua. Ma se il vecchio lamenta nuovamente la sua perdita, il giovane, tornato in sé dopo la visione, riafferma il proprio nome, come dopo l'incontro con il sacro in una cerimonia d'iniziazione.
  The Death of Cuchulain, l'ultimo episodio del ciclo, viene ultimato da Yeats a poche settimane dalla morte a Roquebrune, presso Mentone, nel gennaio 1939. Ferito dopo una battaglia cui ha partecipato pur sapendo di essere sconfitto, Cuchulain muore per mano del cieco di On Baile's Strand, pagato per svolgere il compito. Emer, la moglie dell'eroe, danza davanti al corpo dell'eroe, e il dramma si conclude su un canto di uccelli.


  L'elemento della danza assume un'importanza fondamentale, tanto da dare il titolo alla raccolta stessa di Plays for dancers. Essa, che caratterizza i momenti chiave del dramma, da un lato li riconduce alla ritualità dall'altro li avvicina ad una logica più strettamente performativa dell'evento teatrale. In questo caso l'eredità del teatro no è esplicita, considerando come, nella sua struttura immutabile, sia in una danza che lo shite (protagonista) narra in terza persona la sua storia.

Tiziano Portas



Bibliografia

Sands M., The Influence of Japanese Noh Theater on Yeats
Savarese N., Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente, Laterza

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